Donne che si vogliono sposare. Forse

La polvere e le incomprensioni si formano tutti i giorni e tutti i giorni una buona moglie deve riportare alla perfezione tutte le cose, come quando erano nella mente di Dio

drammaturgia collettiva
regia Stefania Tagliaferri

assistenti alla regia Verdiana Vono, Luisa Zanin
con Alice Corni, Silvia Paganoni, Maria Chiara Canepearo, Sauvage Rolla, Giulia Sartore, Francesca Zanin

durata 70 min.
produzione Palinodie 2014

Nel novembre 2015 Donne che si vogliono sposare. Forse è stato riallestito all’interno delle iniziative legate alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, selezionato per l’attenzione con cui affronta il tema della violenza psicologica sulle donne

disegno luci Verdiana Vono, Ivan Gerbore
elementi scenici Angelini Rigollet
costumi Mariarosa Rosso
foto Valentina Nota, Francesca Nota
si ringraziano Maria Baroni, Maurizio Parravicini, Comune di Courmayeur, Cittadella dei Giovani
 di Aosta

Trama //

Ci sono un milione di fili tesi qui.
La casa che abitano le protagoniste dello spettacolo contiene, rassicura e, al tempo stesso, imprigiona. Ambientato in un generico passato che ammicca agli anni Cinquanta americani, Donne che si vogliono sposare. Forse è la storia di cinque personaggi che affrontano l’eterna questione della definizione di sé dentro e nonostante il nucleo di appartenenza.
Dopo la morte del padre, Brigitte, Grace e Liz vengono istruite dalla Madre a diventare mogli perfette: donne amabili e desiderabili, votate alla cucina e all’arte del compiacere il proprio marito. Il mondo fuori è sapientemente filtrato: dopo un anno di scuola, la Madre istituisce l’ora d’aria, sola occasione per le ragazze di uscire e incontrare opportuni candidati. Contraltare all’interno del nucleo familiare è la Zia, donna poetica e notturna, che rifiuta il modello di perfezione femminile professato dalla cognata, abbandonando la casa e mettendo in gioco la propria vita per trasformare in realtà gli ideali, più liberi di cui si fa paladina. Un universo chiuso e soffocante che implode nel momento in cui la Madre si rende conto di non avere più sotto controllo né la vita delle figlie, né la propria. Al fallimento di questo schema di certezze i personaggi decidono di confessarsi tutte le verità, a partire dalla più ingombrante.

Appunti //

Come i personaggi anche lo spettacolo si finge a lungo ciò che non è: non è teatro dell’assurdo, né commedia leggera, non mito, non tragedia anche se i riferimenti a queste tradizioni teatrali sono espliciti nel testo.
Accettare di essere vive dà alle protagoniste la possibilità di liberarsi e di spezzare le convenzioni del dramma borghese. La scommessa di dirsi la verità pur senza sapere quali saranno le conseguenze rappresenta per loro l’unica possibilità di cambiamento, anche di linguaggio estetico. Ammettere di essere umane e non bambole, riconoscere che l’anelata felicità può realizzarsi fuori dal copione prestabilito è l’inizio di una nuova storia, imprevedibile, non più agita in una meccanica coazione a ripetere, scelta. Finalmente.

Dalla rassegna stampa //

Uno spettacolo ironico ed elegante che racconta con un velo di leggerezza temi attualissimi, nonostante l’ambientazione nel passato […] è questa l’Italia che vorrei avanzasse, questa l’Italia di cui vado era all’estero.
Irene Ciuci, post Facebook 30 dicembre 2014

Nell’arco di poco più di un’ora il salotto si trasforma da claustrofobica sede di scuola di femminilità a luogo di confessione e confronto, rivelando dietro le ombre interiori delle ragazze quelle della marmorea madre. Il perfetto e spietato meccanismo del “moglificio domestico” rivela tutte le sue crepe, fino a crollare su stesso: ma dalle rovine si può anche risorgere, mettersi sulla strada, e ricominciare a vivere, a camminare.
Miriam Begliuomini, Gazzetta Matin, 5 gennaio 2015

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